Veg in Italia: 1, 2, 3, 6, 10 milioni? Bum! Macché, sempre introvabili.
I vegetariani in Italia erano dieci anni fa, cioè nel 1999, oltre un milione, secondo una inchiesta Eurispes raccolta nel dossier "Zooitaly: riflessioni intorno al rapporto uomo-animale". Prima la Lombardia (18%), poi il Lazio (15), poi Piemonte e Val d’Aosta (13) il resto del Nord e del Centro. Infine il Sud, con la Campania (6) prima tra gli ultimi. Prime città: Milano e Roma, che in quanto metropoli sono le prime a seguire le tendenze internazionali.
Fattori che avevano convinto la gente? La giornalista buttava là qualche ipotesi: il pericolo ormoni, poi l'epidemia di "mucca pazza", infine il rischio diossina (M.T. Veneziani, Corriere della Sera, 5 agosto 1999). Ma è evidente la tendenza alla crescente "umanizzazione" degli animali, spiegavano i sociologi.
"E così, nel piatto degli italiani pizze, pasta e verdure - gli ingredienti principali della dieta mediterranea - hanno sostituito bistecche, filetti e cosce di pollo". Che sciocchezza: semmai sono tornate cibi più frequenti, come è sempre stato nella storia italiana.
"Ma dal punto di vista nutrizionale, una dieta senza carne né pesce può fornire all'organismo le sostanze di cui ha bisogno?" chiedeva la cronista. Sentite come rispondeva l’alimentarista Michele Carruba: "Personalmente non sono convinto che l'uomo debba stravolgere la natura [incredibile", NdR]. Tuttavia se un individuo prova un rifiuto fisico o psicologico per un determinato alimento, il nutrizionista deve tenerne conto e aiutarlo a correggere la propria alimentazione". Del resto la nuova dieta verde un merito ce l'ha. Negli ultimi anni nei Paesi industrializzati il consumo di carne era cresciuto troppo. Andava riequilibrato".
Nel 2002 i vegetariani italiani quasi raddoppiano, arrivando a circa 2 milione e novecentomila, sempre secondo l’Eurispes.
Nel 2006 sono circa 6 milioni, quindi un nuovo raddoppio in altri tre anni, secondo l’agenzia di indagine AcNielsen, come riporta Licia Granello (Repubblica, 16 marzo 2006), che parla di "stile salutista" che si impone. Solo che fa qualche pasticcio e mescola anche il crudismo e la scomparsa (e nient'affatto vegetariana) macrobiotica. Queste giornaliste snob! Di buono c’è almeno l’etimologia di vegetariano da vegetus (sano), non da vegetale: l’avrà letta sul mio libro Il Piatto Verde.
"Una mela al giorno toglie il medico di torno. Magari insieme a un’insalata, un piatto di fagioli, del farro, una minestra di alghe e tofu. Meglio se tutto crudo [fagioli e farro crudi? Che confusione!] o cotto a bassa temperatura. Salutare e dietetico, se è vero - come sostiene una nuovissima ricerca inglese - che l’aumento di peso è proporzionale al consumo di carne".
"Il mondo dei vegetariani (dal latino vegetus, vigoroso) è in festa: mai come negli ultimi mesi, ricerche e analisi statistiche stanno confortando la scelta più o meno radicale - a seconda delle convinzioni etiche, sociali, e religiose - di astenersi dal consumo di carne, pratica che coinvolge centinaia di milioni di persone nel mondo. Gli indicatori economici sono tutti al rialzo, dall’Inghilterra - dove il business del cibo meat-free è cresciuto del 38% - agli Stati Uniti, arrivati ormai a quasi due miliardi di dollari e con un incremento del giro d’affari previsto nei prossimi 2 anni pari al 61%".
Ecco, se ci mettono il "giro d’affari", i giornalisti si sentono più sicuri che il pezzo verrà poi pubblicato ed evidenziato. I pubblicitari, si sa, gli stanno sul collo.
Ma cominciano ad apparire le prime crepe di quest’avanzata trionfalistica. Sono tutti "veri" vegetariani questi milioni? No, Eurispes è di manica larga e dentro ci mette anche i discontinui. Dei 6 milioni sparati, si scopre che "solo 3 milioni seguono la dieta in maniera rigorosa". Ah, volevo ben dire. E allora bisogna dimezzare anche le cifre delle indagini precedenti.
Comunque stragrande maggioranza femminile tra i vegetariani: circa il 70%. I vegani o vegetaliani stretti (senza uova e latticini) erano 600 mila nel 2006. Mi sembrano troppi, e probabilmente anche per loro bisogna calcolare che la metà almeno sono "vegan episodici", gente che prova per un po’.
I ristoranti vegetariani erano 300.
"Il mercato dei cibi compatibili con la dieta vegetariana è in aumento costante: proliferano i centri di alimentazione naturale [ah, finalmente]. Il guru dell’alimentazione crudista Aris Latham - tra i suoi pazienti, Prince, Barbara Streisand, Sidney Poitier, Gwyneth Paltrow - ha sostenuto all’ultimo congresso europeo dei vegetariani la necessità di consumare grandi quantità di verdure crude, meglio se biologiche, "perché il 20% del cibo crudo, grazie ai suoi enzimi intatti, dà la possibilità di digerire più facilmente il rimanente 80% di cibo cotto". Il fondatore del "Firedsun food" [cibo cotto al sole], l’associazione dei crudisti americani, va oltre: "Abbiamo imparato che si possono ottenere ottimi paté, usando noci o mandorle al posto della carne, e che le ricette di frullati e centrifugati sono squisite, basta usare fantasia e materie prime freschissime. La cottura ad alta temperatura sta diventando una tecnologia obsoleta".
Nel 2009 lo strano e poco credibile record, l’Italia balza stranamente al primo posto in Europa e tra i primi nel Mondo: conta circa 10 milioni di vegetariani, in pratica 1 vegetariano ogni 10 abitanti, compresi i lattanti e i vecchi degli ospizi.
Ridicolo. Un’assurdità, per chiunque conosca la società italiana, e per qualunque vegetariano italiano, che sa quanto è difficile trovare altri vegetariani. Chissà come è stata condotta l’indagine e qual è il questionario. In Italia i bugiardi sono tanti. Molta gente, anche sotto anonimato, si sente gratificata nel dipingersi come non è. Forse una parte degli intervistati ha profittato delle domanda invogliante delle intervistatrici per promettere a se stessi, da quel momento in poi di diventare vegetariani. Un "sì" di buoni propositi. Oppure gli intervistati l'hanno presa come un generico sondaggio d'opinione: "Secondo lei, è meglio il carnivorismo o il vegetarismo?". Ma il comportamento anomalo degli intervistati è già previsto dagli studiosi di statistica scientifica con gli effetti “simpatia” e “vanità:
Effetto simpatia
Espressione che descrive la reazione dei rispondenti ad una indagine sulla popolazione che danno risposte, consciamente o inconsciamente, imprecise, adattandole a quelli che immaginano essere gli obiettivi dell'indagine. In senso esteso si tratta di una forma di condiscendenza che dà origine ad errori di tipo sistematico, soprattutto all'interno di strati caratterizzati da diversità strutturali rispetto alle variabili oggetto di rilevazione. Per esempio, in una indagine caso-controllo, i casi e i controlli possono interpretare in modo differente gli obiettivi, oppure sono i rilevatori che si comportano in modo diverso con i casi e con i controlli.
Effetto vanità
Espressione che descrive la forma di errore distorsivo commesso in una indagine sulla popolazione mediante intervista da rispondenti che danno risposte imprecise, adattandole a quelli che ritengono essere i modelli di risposta socialmente più accettabili. Questo effetto è particolarmente rilevante sulle risposte a domande aventi per oggetto argomenti delicati, come le opinioni politiche, i comportamenti sessuali, quelli illegali e quelli socialmente riprovevoli, nonché la descrizione biografica di eventi lontani nel tempo o poco salienti per l'interpellato etc.
Intanto, visti i precedenti, si suppone che anche stavolta i vegetariani veri, continuativi, anche in questa inchiesta dalle maglie troppo larghe, siano la metà, anzi, la metà della metà. Ma l’esperienza personale e la psicologia sociale in Italia mi dice che anche questa cifra sarebbe spropositata. Impossibile aver superato tradizioni radicate di generazione in generazione, dove infatti nella vita d’ogni giorno si incontrano tantissimi veg (Gran Bretagna, Germania ecc.).
E ovviamente i giornalisti, anche i più seri, ma evidentemente non vegetariani, che possono fare? Nulla. Chi potrebbe contestare queste cifre? Nessuno. Solo un’indagine più rigorosa e fatta con dati incrociati e controprove molto complesse e costose. Così ci sguazzano dentro scrivendo un articolo: per loro una cifra vale l’altra, non avendo mai avuto l’ordine di grandezza del fenomeno. Come quello, peraltro dignitoso, di Adriana Bazzi, che è una giornalista-medico (Corriere della Sera,12 febbraio 2009).
Facciamo il caso di Roma, città come Milano definita ad "alta concentrazione" di veg, ben superiore alla media nazionale del 10%. Ma anche a voler considerare i veg di Roma non il 15 ma il 5%, molto meno di quanto le inchieste avrebbero mostrato, sarebbero pur sempre, su 2 milioni e mezzo, ben 125 mila vegetariani.
Ah sì? Tutti clandestini, analfabeti, sordi, ciechi e muti? Com’è che non fanno vita sociale, non frequentano in gran numero nessun club specializzato, nessun ristorante, nessun corso di alimentazione vegetariana, tanto che io personalmente trovo difficoltà immense a creare perfino un piccolo gruppo di 30 persone per organizzare cene e feste vegetariane (ed è noto che i romani si muovono solo quando c’è qualcosa da mangiare...), e un altro piccolissimo (20 persone) per escursioni sportive riservate ai veg? Com'è che ogni vegetariano ha nella propria rubrica telefonica e nella mailing list pochissimi vegetariani? Com'è che perfino alle conferenze di noti club "vegetariani" circa la metà dei presenti in sala non è vegetariano?
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